L a storia ha eccezioni che la grammatica non conosce. Lo dimostra la pluricentenaria fiera di Manduria, che ha attraversato i secoli indenne e assunto rilevanza interregionale pur chiamandosi Pessima. Questo perché il suo nome non deriva dal mancato apprezzamento della manifestazione, che anzi ogni anno è affollata da visitatori ed espositori, ma da un uso linguistico squisitamente popolare.

La tradizione vuole che la gente del posto e gli avventori della fiera l’abbiano denominata così per le instabili condizioni meteorologiche del periodo in cui da sempre si svolge: la prima quindicina di marzo. In quei giorni, infatti, la pioggia e il vento hanno spesso accompagnato la manifestazione, caratterizzandone il ricordo fino a farlo diventare nome.

Ma questa spiegazione non convince del tutto gli studiosi di storia patria, che sottolineano come né la parola né tanto meno l’aggettivo pessima siano presenti nel dialetto di Manduria e dell’area circostante.
Affascina di più allora un’altra ipotesi, colta e popolare allo stesso tempo. Negli anni si è spesso verificato che il periodo fieristico comprendesse la terza domenica di Quaresima, giorno in cui l’ufficio delle orazioni canoniche prevede la lettura dei due capitoli della Genesi in cui si racconta la storia di Giuseppe, venduto ai mercanti dai suoi stessi fratelli. Questi ultimi, volendo far credere al padre Giacobbe che il figlio perduto fosse stato ucciso da un animale feroce, presentarono al patriarca israelita la veste di Giuseppe intrisa del sangue di un capro, spacciandola come prova della morte violenta. Giacobbe credette allora che il figlio fosse stato sbranato da una belva malvagia, manifestando il suo strazio con parole rese celebri dal testo biblico latino: «fera pessima devoravit filium meum Ioseph».

È probabile, quindi, che i fedeli che si recavano nelle chiese di Manduria la terza domenica di Quaresima sentissero ripetere dal clero per ben due volte (una dai fratelli di Giuseppe e l’altra da Giacobbe) e in più occasioni nella giornata l’espressione fera pessima, fino ad associarla alla fiera in corso in quegli stessi giorni. Anche perché la parola fera nel dialetto locale esiste e significa proprio fiera.

È probabile, quindi, che i fedeli che si recavano nelle chiese di Manduria la terza domenica di Quaresima sentissero ripetere dal clero per ben due volte (una dai fratelli di Giuseppe e l’altra da Giacobbe) e in più occasioni nella giornata l’espressione fera pessima, fino ad associarla alla fiera in corso in quegli stessi giorni. Anche perché la parola fera nel dialetto locale esiste e significa proprio fiera.

Ma questa spiegazione non convince del tutto gli studiosi di storia patria, che sottolineano come né la parola né tanto meno l’aggettivo pessima siano presenti nel dialetto di Manduria e dell’area circostante.
Affascina di più allora un’altra ipotesi, colta e popolare allo stesso tempo. Negli anni si è spesso verificato che il periodo fieristico comprendesse la terza domenica di Quaresima, giorno in cui l’ufficio delle orazioni canoniche prevede la lettura dei due capitoli della Genesi in cui si racconta la storia di Giuseppe, venduto ai mercanti dai suoi stessi fratelli. Questi ultimi, volendo far credere al padre Giacobbe che il figlio perduto fosse stato ucciso da un animale feroce, presentarono al patriarca israelita la veste di Giuseppe intrisa del sangue di un capro, spacciandola come prova della morte violenta. Giacobbe credette allora che il figlio fosse stato sbranato da una belva malvagia, manifestando il suo strazio con parole rese celebri dal testo biblico latino: «fera pessima devoravit filium meum Ioseph».

Oggi Pessima è tra le più importanti expo di Puglia, con un raggio di attrazione che si estende in tutto il meridione peninsulare d’Italia. Ecco perché il suo nome è diventato superlativo assoluto di fiera.